La Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che l’adozione di un’asta pubblica interrompe il legame causale tra l’opera prestata dal mediatore e l’aggiudicazione del bene. L’asta pubblica è una gara tra partecipanti per offrire il prezzo migliore e l’aggiudicatario viene scelto attraverso un meccanismo automatico indipendente dalle trattative precedenti. Questo significa che il risultato dell’asta non è controllabile dalle parti coinvolte o dal mediatore. Asta Pubblica e Diritto alla Provvigione del Mediatore Immobiliare: l’asta interrompe nesso di casualità e diritto alla provvigione.
(Cass. n. 2483 del 1972; Cass. n. 27330 del 2005; Cass. n. 28767 del 2017, in motiv.).
In una sentenza del 2019, la Corte ha affermato che il diritto del mediatore alla provvigione sorge solo se la conclusione dell’affare è in relazione causale, anche non esclusiva, con l’attività intermediatrice svolta dal mediatore. Se il nesso causale viene interrotto, come nel caso di un’acquisto effettuato da una società a seguito di una procedura di gara pubblica, allora il mediatore non ha il diritto alla provvigione. Questo significa che l’interruzione del legame causale tra l’acquisto e l’opera del mediatore porta all’esclusione del suo diritto alla provvigione.
La Corte ha respinto le obiezioni sollevate dall’appellante, sottolineando che il bene oggetto della transazione è stato venduto in base alle norme previste dall’art. 570 c.p.c. e che non è possibile configurare una partecipazione di un soggetto privato che eserciti l’attività di mediazione. Quindi riguardo al nesso tra Asta Pubblica e Diritto alla Provvigione del Mediatore Immobiliare la corte ha inoltre affermato che il procedimento di vendita giudiziaria non lascia spazio ad alcun intervento privato di mediazione e che la conoscenza della vendita del bene fallimentare è determinata dalla pubblicità legale. In altre parole, la Corte ha concluso che la vendita del bene attraverso una procedura di gara pubblica esclude la necessità di un mediatore e che l’acquisto consegue da un provvedimento del tribunale.
(Corte di Cassazione Sez. Seconda civile Sentenza N. 21711/2019 del 26.08.2019)
Asta pubblica e diritto alla provvigione del mediatore immobiliare: La Corte Suprema di Cassazione ha chiarito in diversi casi che l’utilizzo dell’asta pubblica come metodo di vendita interrompe il legame causale tra l’attività di un mediatore e l’aggiudicazione del bene. Questo perché l’asta pubblica è un’offerta aperta a tutti i partecipanti e mira a trovare il migliore offerente, con un meccanismo automatico che non può essere controllato dal mediatore. La Corte ha anche sottolineato che le modalità di acquisizione del bene non consentono la partecipazione di un soggetto privato che svolge l’attività di mediazione. Inoltre, il procedimento delle vendite giudiziarie è rigido e non lascia spazio ad alcun intervento privato.
In un caso specifico, l’appellante aveva invocato un compenso per la mediazione del bene venduto tramite asta pubblica, ma la Corte ha respinto le sue censure, sostenendo che non è possibile configurare una partecipazione privata in questo tipo di vendita. La conoscenza della vendita del bene rientrante nella massa fallimentare, infine, è determinata dalla pubblicità legale.
In sintesi, la Corte ha chiarito che l’utilizzo dell’asta pubblica interrompe il legame causale tra l’attività di un mediatore e l’aggiudicazione del bene e che il procedimento delle vendite giudiziarie non consente alcun intervento privato. Questa decisione rafforza il principio che la pubblicità legale sia la fonte principale di conoscenza delle vendite giudiziarie.
Asta pubblica e diritto alla provvigione del mediatore immobiliare:RAGIONI DELLA DECISIONE N.21711/2019 del 26.08.2019
1.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione degli artt. 1754 e 1755 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, dopo aver evidenziato che il bene oggetto dell’operazione per la quale si invoca il compenso è stato venduto secondo le modalità prescritte dall’art. 570 c.p.c., ha rilevato che “le modalità di acquisizione del bene non consentono di configurare la partecipazione di un soggetto privato che esercita l’attività di mediazione tra il curatore fallimentare e l’acquisizione”, per cui, “non è ravvisabile un’utilità dell’attività medesima in favore di chi si presume per legge che abbia avuto in astratto conoscenza della vendita del bene fallimentare”: “il procedimento delle vendite giudiziarie è rigidamente articolato per scelta dell’acquirente e tale da non lasciare luogo in alcun modo ad un privato intervento di mediazione perchè il trasferimento della proprietà dell’esecutato all’aggiudicatario consegue ad un provvedimento dell’organo giudiziario”. La conoscenza della vendita del bene rientrante nella massa fallimentare, pertanto, ha concluso la corte, è determinata dalla pubblicità legale.
1.2. Così facendo, tuttavia, ha osservato il ricorrente, la corte d’appello ha violato gli artt. 1754 e 1755 c.c.: ai fini del diritto del mediatore alla provvigione, infatti, l’art. 1755 c.c. non richiede l’intervento del mediatore in tutte le fasi delle trattative sino all’accordo definitivo, essendo sufficiente che la conclusione dell’affare possa ricollegarsi all’opera da lui svolta per l’avvicinamento dei contraenti, con la conseguenza che anche la sola attività consistente nel ritrovamento o nell’indicazione dell’altro contraente o nella segnalazione dell’affare legittima il diritto alla provvigione, sempre che tale attività costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore e poi valorizzata dalle parti. Nè, ha aggiunto il ricorrente, è necessario che al mediatore sia stato espressamente conferito un incarico poichè per il diritto alla provvigione è sufficiente la sussistenza del rapporto di causalità tra l’operato del mediatore e la conclusione dell’affare.
1.3. Nel caso di specie, ha proseguito il ricorrente, l’istruttoria ha dimostrato che “l’opera di avvicinamento del signor C. all’affare compiuta dal signor B., inizialmente nel corso del sopralluogo del 22.06.2000 e poi attraverso gli altri incontri preparatori, è stata tale da determinare l’acquisto da parte della Beton C. S.p.a. dell’immobile all’asta del 07.11.2000 e, conseguentemente, da fare sorgere il diritto del mediatore ad ottenere la provvigione ai sensi dell’art. 1754 c.c.”.
1.4. Del resto, ha aggiunto il ricorrente, ai fini del diritto al compenso, è sufficiente che il mediatore o il procacciatore d’affari abbiano posto utilmente in contatto tra di loro i terzi interessati e che l’affare si sia concluso per il loro intervento, anche nel caso in cui la stipulazione del contratto, che lo ha realizzato, sia avvenuta attraverso meccanismi che escludevano una libera negoziazione, purchè uno dei contraenti abbia avuto conoscenza dell’affare e abbia preso contatto con l’altro per la esclusiva opera del mediatore o del procacciatore, che ha così acquistato efficacia di concausa della conclusione di esso.
1.5. La modalità di vendita tramite pubblico incanto, ha concluso il ricorrente, non vale, quindi, ad escludere il diritto del professionista al compenso.
2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di esaminare i motivi di gravame esposti nell’atto d’appello sull’assunto che l’attività di mediazione non è conciliabile con il procedimento previsto dall’art. 570 c.p.c. poichè il trasferimento della proprietà dell’esecutato all’aggiudicatario consegue ad un provvedimento dell’organo giudiziario e la conoscenza della vendita del bene rientrante nella massa fallimentare è determinata dalla pubblicità legale.
2.2. La corte, tuttavia, così facendo, non ha dato alcuna spiegazione, in violazione della norma procedurale richiamata, circa le ragioni per cui tali circostanze debbano escludere l’attività di intermediazione di un terzo ed il conseguente diritto alla provvigione.
3. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha adeguatamente riesaminato, come richiesto con l’atto d’appello, le risultanze istruttorie e documentali comprovanti l’attività di mediazione del B. in favore del C. e consistente nella segnalazione della vendita, nell’organizzazione della visita e del sopralluogo dell’immobile avvenuto in data 22/6/2000 e nell’assistenza dell’acquirente fino all’effettiva conclusione della vendita all’asta in data 7/11/2000.
4. Il primo motivo è infondato, con assorbimento degli altri. Questa Corte, invero, ha condivisibilmente affermato che l’adozione dello strumento dell’asta pubblica, preceduta dalla prescritta pubblicità e diretta alla ricerca del migliore offerente, interrompe necessariamente il nesso causale tra l’eventuale opera prestata dal mediatore in precedenza e l’aggiudicazione del bene: l’asta pubblica, in effetti, si risolve in una offerta al pubblico, ha come obiettivo la ricerca del contraente che offra il prezzo migliore e determina una gara tra i partecipanti il cui esito non è controllabile dalle parti sollecitate dal mediatore e individua l’aggiudicatario secondo la logica di un meccanismo automatico, del tutto svincolato dalle trattative precedenti (Cass. n. 2483 del 1972; Cass. n. 27330 del 2005; Cass. n. 28767 del 2017, in motiv.). Ora, poichè il diritto del mediatore alla provvigione sorge solo nel caso in cui la conclusione dell’affare sia in rapporto di derivazione causale, pur se non esclusiva, con l’attività intermediatrice svolta dal mediatore, risulta, allora, evidente come l’interruzione del nesso eziologico tra l’acquisto operato dalla società convenuta all’esito di una procedura di gara pubblica e l’eventuale opera svolta dal ricorrente, induce inevitabilmente ad escludere il diritto alla provvigione azionato da quest’ultimo.
5. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato.
6. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
7. La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
la Corte così provvede: rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2019